PRO LOCO di ROCCALVECCE

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La storia del borgo

ROCCALVECCE NEL MEDIOEVO

 

Attraverso notizie e documentazioni sul castello ed il suo feudo

 

(Testi tratti da “Roccalvecce, annuario quinquennale 1993”)

 

Nota introduttiva

 

Il Medio Evo, epoca storica dei comuni, celebrata dalla lotta contro il servilismo per la libertà dei Paesi, illustrò anche il nome di Rocca del Vecce, paesello nella terra di Bagnorea (Bagnoregio).

 

Della vita medievale di Rocca dl Vecce abbiamo innanzitutto una traccia nei resti delle mura diroccate che un giorno la cinsero e la difesero, nei resti delle abitazioni dirute e principalmente nel Castello.

 

Crediamo che molti dei nostri concittadini abbiano dedicato una fugace attenzione a quelle reliquie di vecchie mura che, qua e là “spezzate, smozzicate, sgretolate” sul ciglio della rocca tufacea, furono baluardo di difesa per i nostri antenati e attendono l’ultima rovina del tempo e forse, spesso, anche dalla mano distruttrice dell’uomo. 

 

Notizie e documentazioni

 

Le notizie e le documentazioni di Rocca del Vecce, prendono l’avvio da un inquadramento più generale riguardante l’infeudamento ed il possesso di Castelli da parte di Viterbo, nell’arco di tempo che va dalla seconda metà del sec. XII ai primi decenni del XIV, tramite la diretta consultazione di documenti dell’epoca, contenuti in cinque volumi col nome di MARGARITA, ed altre cronache di sicura obiettività.

 

(I cinque tomi della Margarita: in origine erano 7, ma il quinto ed il sesto sono andati dispersi. Si tratta di cinque registri membranacei, molto ben conservati, dove sono trascritti gli atti pubblici e privati che interessavano il Comune di Viterbo a partire dal secolo XIII.
La serie piuttosto ricca degli Statuti delle Arti e delle Corporazioni.
La collezione dei Bandi Comunali, la cui raccolta inizia alla fine del Quattrocento con i primi bandi a stampa.)

 

Tuttavia, prima di procedere nella trattazione di questa parte di notizie storico medievali, è da precisare che la terra di Rocca del Vecce non era disabitata prima di tale periodo.

 

Anzi, i resti ben visibili, dell’ambiente intorno, come anche gli eloquenti reperti archeologici, ci dicono che fu abitata fin dalla più lontana preistoria, come del resto tutto il territorio viterbese e dell’Alto Lazio dal Tevere al mare.

 

Restano tracce etrusche e romane, nella loro esteriore apparenza, impoverite, poiché nei secoli passati indiscrete ricerche hanno scavato e svuotato tombe ed abitacoli a vantaggio del lucro privato e a danno del patrimonio culturale e universale.

 

Di epoca romana si sono trovate anche buone monete imperiali.

 

Dalla consultazione dei volumi della Margarita, sono certe le testimonianze più consistenti e spesso complete ed in cui vi sono trascritti dall’origine tutti gli atti che rivestivano particolare importanza nel medioevo, come Diplomi di Papi ed Imperatori, Atti di vendita, Acquisti di Comuni, Controversie tra questi e privati, Dichiarazioni di Sudditanza ecc.

 

La fiducia nelle Margarita era condivisa da tutti a quel tempo.

 

Riguardo a i Castelli del circondario di Viterbo, occorre dire che non tutti erano citati nella Margarita.

 

Viterbo ne possedeva infatti molti altri, come risulta dalle pergamene esistenti presso l’archivio comunale.

 

Esistono in modo completo quelle riguardanti il Castello di Rocca del Vecce e degli altri circondari.

 

I Castelli erano così sparsi, prendendo come fulcro quello di Rocca del Vecce e seguendo l’ordine dei punti cardinali: a Nord il Castello di Acuta, a Nord-Ovest il Castello di Coccomella, a Sud-Ovest il Castello di Riona, a Sud il Castello di Torena, a Nord-Ovest quello di Castelfiorentino, ed ancora il Castello di Segena, di Trissolo e di Rocchette.

 

Prima di trattare in quale modo questi Castelli si univano al Comune di Viterbo, o con dichiarazioni di sudditanza, o con atti di vendita o per altri particolari motivi, bisogna esaminare i due protagonisti: il Comune da una parte e dall’altra il Castellano.

 

Il primo è mosso, nello stringere patti, da interessi prevalentemente economici, politici e di prestigio, l’altro da motivi più vitali ed urgenti, derivanti dal desiderio di sopravvivenza.

 

In virtù di questi princìpi fondamentali per l’uno e per l’altro, gli interessi si trovano a coincidere ed allora si verifica il fenomeno in questione.

 

Questi interessi di fondo, comuni a tutti, sono chiaramente visibili in molti Atti dell’epoca esistenti presso la Biblioteca del Comune di Viterbo, non soltanto per i nostri Castelli in questione, ma un po’ per tutti i Castelli del Lazio Superiore.

 

Il Castellano infatti, nella maggior parte dei casi, concede al Comune dei vantaggi economici, come la possibilità di sfruttare le risorse del luogo, il non pagare pedaggi, commerciare liberamente nel territorio e si impegna poi a seguire il Comune nelle guerricciole e incursioni locali: il banditismo tanto frequente in quel tempo, sottraendosi nella maggior parte dei casi all’eventualità di dover combattere contro autorità molto potenti come il Papa e l’Imperatore o la città di Roma, e in cambio chiede di essere difeso e protetto.

 

Verso la metà del 1200, il Comune di Viterbo era molto potente e forte, quindi attirò sotto il suo diretto controllo molti Castelli, e proprio per questi motivi si possono spiegare Donazioni ed atti di Sudditanza che alcuni Signori dei Castelli vicini fecero al Comune per ottenere, come si è detto, protezione.

 

Tra questi appare Rocca del Vecce, quando i Signori di questo Castello si sottomisero a Viterbo nell’anno 1254 ed il Comune dà loro il denaro necessario per riscattare il Castello, già ipotecato da Ildebrandino “de Peregnano” (CXXVI-CXXXIII-XXXXV).

 

Trattando fatti storici e seguendo l’ordine cronologico delle notizie e degli Atti che si sono succeduti nei secoli, appare nell’anno 1199 un tal Rinaldo della Vecia, di cui lo storico Nicola di Bartolomeo Della Tuccia, nella seconda metà del 1300, così scriveva: “Anno Domini 1199. Li Romani uinnero ad Viterbo et alloggiaro a Risiere, Viterbesi le annaro addosso et combattero cò loro al Ponte dell’Oglio et alla Sala, a cavallo et a piedi, durò la battaglia dal mezzodì sino alla sera et feronci morti due i Romani, uno chiamato Rinaldo della Vecia e l’altro Ventura, et la seguente mattina Romani se ne partiro et tornoro a Roma”.

 

Circa la figura di questo Rinaldo della Vecia, non si hanno altre notizie e lo storico Edoardo Martinori concorda con il Della Tuccia nel dire che il tal Rinaldo della Vecia, secondo le sue ricerche, fosse ucciso in battaglia contro i Romani al Piano della Sala (Viterbo) ed aggiunge che proveniva dal Castello della Vecia

 

Il Nome

 

Generalmente, lo studio dell’etimologia del nome dei paesi e città, non sempre ha avuto esito positivo, anzi, spesso, ha originato disparati giudizi e opposti pareri.

 

Non per questo, scrivendo le brevi memorie storiche di Rocca del Vecce, è tralasciato di elencare il risultato delle ricerche sull’origine etimologica del nome attuale ROCCALVECCE.

 

Si può dire che il nome di questa Rocca fosse “Rocca del Vecio” o “del Veccio/a”, dalla denominazione del legume Veccio o Veccia molto abbondante in tutte o quasi le sue varietà in questa terra; o della “Vecchia” come si trova scritto in altre parti (Della Tuccia) e per ultima ipotesi “Roccaelvetica” dal latino “Arx Aelvetia” perché fondata, come luogo di vacanza per gendarmi svizzeri, da un capitano Elvetico, secondo comune credenza, sul posto dove però già esisteva una Rocca.

 

Per questa ultima origine non esiste alcuna cronaca o notizia fondata.

 

Nel corso della trattazione useremo la denominazione di Rocca del Vecce condivisa da gran parte degli storici Viterbesi che nel corso dei secoli si sono interessati al nostro Castello. 

 

1210: I primi documenti

 

Rocca del Vecce compare ufficialmente nella storia nell’anno 1210, quando detta Rocca fu presa dal re Ottone IV di Brunswich, in dissidio col Papa Innocenzo III. 

 

Ottone IV, figlio di Enrico il Leone Duca di Baviera, era re di Germania in quel periodo e vi regnò dal 1198 al 1214.

 

Nell’anno 1199 i Viterbesi avevano assalito Vitorchiano occupandola e questo Castello, allora, si era posto sotto la protezione di Roma.

 

In quel tempo i Romani scelsero come arbitro di tutti i loro dissidi con i Viterbesi, il Papa Innocenzo III, ma questi ultimi non accettarono l’arbitraggio e di conseguenza furono scomunicati dal Papa stesso.

 

Le soldatesche Romane arrivarono a Vitorchiano e liberarono il Castello, assumendone la protezione.

 

I cronisti Viterbesi narrano che negli anni seguenti la presa di Vitorchiano da parte dei Romani, questi subirono una disfatta alla Cava di Gorga, precipizio poco lungi dalle mura di Viterbo, il quale era stato ricoperto con frasche e grossi rami d’albero per farlo credere una perfetta pianura.

 

Papa Innocenzo III, nell’anno 1209, si incontrò con Ottone IV a Viterbo e riconfermandogli questa fedeltà e difesa con patti precedentemente presi (1202), lo incoronò Imperatore.

 

Tuttavia l’anno seguente la sua incoronazione, venne a dissidio, per altre gravi questioni, con il Papa stesso ed il cronista “Della Tuccia” così spiega il fatto: “Anno Domini 1210. Otto imperatore sopraddetto uinne en assedio alla ciptà de Viterbo solo per lo sdegno che aueua pigliato…Vedendo li viterbesi si fatto assedio se rinforzarono contro lo Imperatore…,continuamente viterbesi usciuano fora dalla ciptà a fare la battaglia colle genti dello Imperatore, et lo Imperatore annaua campeggianno in contrada et contrada, et guastò quasi tutti li beni che erano di fora; poi se partì et annò allo assedio de Rocca Altia nelli monti sopra Viterbo, ei in pochi giorni la pigliò, poi annò, et pigliò Magnano (Mugnano ?), et con tutte uictorie tornò ad Montefiascone, che era suo, facendo continua guerra alla ciptà de Viterbo.

 

Viterbesi annarono alla Rocca Altia, et la pigliarono per forza, et prennero tutte genti, che u’auia lasciate lo Imperatore; lo Imperatore se partì da Montefiascone, con tutte suoe genti, et annò alla Rocca Altia per pigliare Viterbesi, et fu fatta una grande battaglia, et poi lo Imperatore se partì da Rocca Altia senza guadagnare niente, et tornò ad Montefiascone, et mannò le genti suoe a Magnano et alla Rocca del Veccio, et a Vetralla facenno far guierra ad Viterbo continuamente.

 

Viterbesi annarono alla Rocca del Veccio et fero battaglia con lo Imperatore, et ruppeli, et pigliaro per forza detta Rocca del Veccio, poi se mossero a Montefiascone, con tutto lo sforzo loro, et fecero battaglia collo Imperatore et suoe genti, et lo cacciaro per forza dentro le porte…”

 

I primi documenti ufficiali su Rocca del Vecce compaiono nell’anno 1254.

 

E’ del giorno 8 febbraio di quell’anno una “dichiarazione di sudditanza” da parte dei Signori del Castello al Comune di Viterbo, per l’aiuto ricevuto, dall’occupazione di questo.

 

Infatti era stato preso nei primi anni del 1250 da Ildebrando di Peregnano e Corrado e Ugolino d’Uffreduccio, Signori di Rocca del Vecce, ed altri condomini, furono aiutati finanziariamente e con la forza dal Comune di Viterbo a riscattarlo.

 

Corrado e Ugolino d’Uffreduccio posero se ed il loro castello sotto il dominio di Viterbo e, per questo, giurarono di far guerra e pace a motivo del grande amore (eglino dissero) che essi e i loro padri nutrirono sempre per i Viterbesi, i quali li accomodarono un tempo del denaro necessario al riscatto della loro Rocca: “..pro magno amore et dilectione, quem et quam in Comune et universitatem Viterbii habuimus et habemus et antecessores nostri haberunt…”.

 

Il documento ufficiale così è riassunto: “Anno ab nativitate MCCLIV, temporibus domini Innocentii IV pape, die VIII, mense februarii intrante, XII indict. Viterbo, casa del figlio del fu Giovanni Accunca di Manente….Corrado, Ugolino del fu Ulfreduccio de Veccia, Giovanni di Riccardo procuratore di Mattea e Gioia figlie del fu Oddone di Ulfredo, come risulta dall’atto del notaio Bartolomeo di Bagnorea, Vona moglie di Oddone, Vialante di Ildibrandino de Podio, Oddone di Rainaldo de Guaitamiglio, signori del castello, promettono per se e per i loro eredi ad Albicco dei figli di Ubaldino de Muscello podestà di Viterbo, ai balivi del Capitano Raniero di Giovanni Tiniosi e Giacomo di Pietro di Nuccio e al Sindaco Giacomo di Guidone Cencij, di fare pace e guerra a volontà del Comune, Excertitum, cavalcatam, parlamentum”.

 

Si impegnarono inoltre a non vendere senza il consenso della città, eccetto che fra loro.

 

Se si vendesse al Comune promettono di richiedere un prezzo inferiore di 50 libbre.

 

Stabiliscono inoltre di proteggere i Viterbesi e gli abitanti di Celleno, Sipicciano, Fiorentino, Riona e Acuta e di non ospitare alcuna fazione, se la città si scindesse in parti o venisse a guerra civile.

 

Affermano di fare ciò per il grande amore che nutrono per Viterbo che ha riscattato il Castello di Ildebrandino da Perignano, con 400 libbre di denari senesi, lucchesi e pisani.

 

Promettono di rispettare i patti sotto la pena di 2000 libbre di denari senesi, lucchesi e pisani.

 

Fidejussori, per i Signori di Rocca del Vecce: Scolari del fu Enrico Landulfi, Accone del fu Clarimbaldi, Amigo del fu Detaiuto di Salamario, Angelo del fu Pietro Boni, Andrea del fu Veraldo, Rollando del fu Bartolomeo Rollandi.

 

Il 10 febbraio dello stesso anno si pongono come fidejussori anche Andrea del fu Farolfo e Ugolino del fu Ranaldo da Alviano, dopo avere letto tutto l’istrumento alla presenza di Sinibaldo di Bartolomeo di Azzone Carenconis, Uguccione di Forte Guerra Gallici, Leonardo Giudice, Bonifacio di Raniero Villani, Raniero Gatto e Rollando suo fratello, Annuncia Vicanelli, Giovanni Birmillii.

 

E’ anche del mese di febbraio dello stesso anno, un “impegno di riscatto” dello stesso castello e di completa sottomissione a Viterbo.

 

Così è scritto: “Anno ab nativitate MCCLIV, tempore domini Innocentii IV pape, die X, mense februarii intrante, XII indict. Viterbo, casa del figlio del fu Giovanni Accunca di Manente….alla presenza del notaio e dei testimoni, Corrado e Ugolino del fu Ulfreduccio de Veccia, Vialante de Podio di Rocca Veccia, promette ad Albicco dei figli di Ubaldini de Muscello podestà di Viterbo, a Raniero di Giovanni Tiniosi e a Giacomo di Pietro di Nuccio balivi, a Giacomo di Guidone Cencij sindaco, che entro il primo gennaio avrà riscattato la sua parte del Castello venduta a Raniero di Bomarzo e precedentemente riscattata da Ildebrandino di Peregnano, con l’aiuto di Viterbo che aveva dato a tale scopo 400 libbre di denari senesi, lucchesi e pisani.

 

Si impegna inoltre al rispetto dei patti stabiliti nell’atto precedente sotto pena di 100 marche d’argento.

 

Fidejussori: Ugolino del fu Ulfreduccio de Veccia, Giovanni di Riccardo viterbese. Testi: Sinibaldo giudice, Uguccione Fortiguerra Gallici, Leonardo giudice, Bonifacio, Raniero Villani, Raniero Gatto e Rollando suo fratello. Not. del S.P.L. Marco di S.Blascio. Trascrizione: Sub anno domini MCCLXVI, tempore domini Clementis pape IV, mense decembris, die VI intrante, indic IX Viterbo, palazzo di Nicolao di Federico, sede del capitano del popolo Raniero Gatto. Testi: Bono, giudice del Comune, Bericcone di Ildibrando giud. Ord., Raniero Cacoppi not., m. Simeone not., m. Pietro di Leonardo not., m. Pietro di Pietro Baylanti not., m. Giovanni del m. Leonardo not. Notaio apostolico Egidio Donadei.

 

Dall’anno 1254 il Castello di Rocca del Vecce è dunque sottomesso a Viterbo.

 

Da questa data all’anno 1262 si hanno numerosi atti di Soggezione o di Ricognizione di Dominio fatti dal comune di Viterbo o dai Castellani non solo per Rocca del Vecce, ma anche per molti altri Castelli d’intorno, tra cui Acuta,

 

Crocchette, Cucumella, Grotte di Riona.