Arcivescovo Ambrogio Acciari

 A seguito dell'annessione all'Italia delle isole del Dodecaneso, divenne necessario stabilire una presenza ecclesiastica cattolica che si facesse carico di prestare i servizi religiosi agli italiani, civili e militari, che vi si trasferirono. 

L'incarico venne affidato alla Provincia Serafica di San Francesco dei Frati Minori dell'Umbria, che istituirono la Missione francescana del Dodecanneso, con sede a Rodi. 

Nel 1928, venne ristabilita anche la sede episcopale cattolica di Rodi e ne venne consacrato arcivescovo mons. Gianmaria Castellani, che mantenne l'incarico fino al 1937, avendo come successore mons. Ambrogio Acciari. Entrambi i prelati erano frati minori dell'Umbria, in precedenza responsabili della missione.
Dopo l'8 settembre 1943 e la conseguente occupazione del Dodecaneso da parte delle truppe tedesche, fu proprio mons. Ambrogio Acciari a dover gestire per conto della Chiesa cattolica la delicata situazione che si venne a creare. 


Cronaca dell'isola di Rodi:

Intanto un fatto veramente orribile si avvera anche a Rodi a dimostrare la realtà della barbarie germanica verso i non tedeschi. 

La deportazione degli ebrei. Gli ebrei a Rodi non erano stati mai molestati, se non nei primi tempi del razzismo, ma anche allora solo limitatamente, tanto che proprio per iniziativa del governatore De Vecchi si fece il salvataggio di oltre 500 ebrei, andati a sbattere verso Caso sopra uno zatterone. 

Essi furono portati a Rodi, curati, mantenuti per qualche mese, fino a che furono lasciati liberi di andare in Palestina. 

I locali, discendenti dagli spagnoli esuli al tempo di Ximenes, non solo erano tranquilli, ma anche in periodo tedesco prosperavano. 

Fu proprio per questo che partirono delle accuse contro il Generale Klemann, come filo-ebreo, cosicché nei primi giorni del luglio 1944 venne un contingente di S.S. per attuare la politica razzista anche a Rodi. 

Tra il 20 e il 21 tutti gli ebrei furono concentrati con invito a portarsi nutrimento, oro e quanto possedevano, e, stipati nelle prigioni, in piedi, furono spogliati, derubati e lasciati digiuni. 

Fu allora che, mentre greci e tedeschi derubavano le case ebree, il Governo Civile Italiano e la Missione cercarono di salvare il salvabile, ammucchiandolo in luoghi della missione più o meno sicuri; e fu allora che, mentre i greci erano intorno alle prigioni per insultare i disgraziati, mostrando loro del pane e dell’acqua, per fare acquisti di ricchezze con un tozzo ed un bicchier d’acqua (fu venduto fino a 10.000 lire), l’arcivescovo organizzò un servizio di soccorso per mezzo di frate Angelino delle Scuole Cristiane, e si poté dare 9.000 razioni di pane, frutta, bevande, latte e perfino minestre agli ebrei fino all’ora del loro imbarco per la ignota destinazione, il 23 luglio 1944. Pur con tutto l’interessamento dell’arcivescovo e di altre autorità, affinché fossero risparmiati i vecchi, i malati e i bambini, non si poté salvare che qualche singolo dalla deportazione. 

Li vedemmo partire, accompagnati da scorta armata, insultati dai Greci, malmenati dai soldati, solo compatiti dagli italiani, alcuni dei quali, con fratel Angelino, furono maltrattati per aver tentato di portar loro aiuti sulla nave d’imbarco. 

Anche il parroco di Campochiaro ebbe a soffrire a causa di un ebreo, che imboscatosi trovava aiuto in parrocchia. 

Fu un papas (di Dimilià) a fare la spia, così che l’ebreo fu preso e fucilato, mentre il Parroco, difeso da un Ufficiale cattolico, conte Wedel, fu liberato dalla deportazione, ma obbligato a lasciare la parrocchia.