La famiglia Gatti

Nell’anno 1452, Rocca del Vecce figurava posseduta per 2/3 da Princivallo Gatti, figlio di Giovanni Gatti.

Il cronista N. Della Tuccia così scrive: “Anno domini 1452…era in Viterbo un ceptadino Caualieri Sper d’oro, figliolo di Giuuan Gatti, chiamato M.Princiuello (?) dè Gatteschi, il quale era soldato del Papa et prouisionato con trenta caualli, et era suo Celleno et la Rocca del Veccio…”.

L’altra parte, 1/3 rimanente, era posseduta dall’Ospedale di S.Spirito in Sassia, che in quell’anno stesso fu autorizzato dal Papa Nicolò V a vendere ai Gatti di Viterbo la detta porzione, per cui appare a diretto dominio di questo Casato.

Rifacendosi ancora al cronista Della Tuccia, troviamo scritto che il Princivallo entrò, in quegli anni, in inimicizia coi Monaldeschi, Signori di Montecalvello, e scrive: “Anno Domini 1453….in quegli anni li famegli di M.Princiuallo comenzarono at robbare et tolsero robbe da pecorari, et pecore dè Niccholò, et Monaldo nel terreno di Monte Cauello, onde detti Monaldeschi comenzarono a mandar loro famigli, et uassalli ad robbare in quello di Celleno ed della Roccha del Veccia, et cossì di giorno in giorno la inimicizia cresceua tra questi l’uno contro l’altro.

Il detto M.Princiuallo regeua lo stato in Viterbo, et tutte le cose del Communo andauano per sue mani…”.

L’anno 1454 fu fatale per Princivallo che, per gli odii delle fazioni di alcune famiglie, principalmente i Monaldeschi, fu assalito e accoltellato di ritorno a Viterbo, da una visita fatta al Papa, nei pressi di Borgo dè Vico.

Stiliamo un riassunto del racconto di Della Tuccia: Anno Domini 1454. M.Princivallo, al borgo del Vico, fu accerchiato dagli assalitori e, nonostante riuscisse a difendersi con la spada, fu ferito mortalmente “….che cascò da cauallo, et con XXXIII ferite morto fu crudelissimamente et tolti suoi caualli tutti et tutta la robba sua…”.

Viterbo tutta si riunì sul luogo dell’attentato al grido di “uiua la chiesa et Casa Gattescha”.

Il corpo di Princivallo fu portato col carroccio in piazza del Comune.

Domenica 1 settembre fu fatta l’esequie della morte.

Erano presenti gli ambasciatori di Todi, Orvieto, Baschi, Alviano, Acquapendente, Bulseno “….il popolo de Canepina, il popolo di Celleno, il popolo di Roccha del vecce, il popolo di Bagniaja et tutti preti et frati, et tutte le arti de Viterbo et ad ordere tale essequio furono X Ceptadini, et io foi uno dè detti X, imperò ne posso far chiara testimonianza: l’onore che li fo fatto saria incredibile a dirlo, et cossì una cassa de legno grande copertata dè seta fò portata insino S.Maria ad Grado…”.

Si è voluto riportare questo scorcio di cronaca del Della Tuccia, perché grande fu in Viterbo il Princivallo, tanto nello spirito quanto nelle imprese e nessun altro documento obiettivo, a tale proposito, ha così bene illustrato questa nobile figura.

In Rocca del Vecce, Princivallo dimorò per lungo tempo, riunendo gran parte del Feudo e lasciando, nello stemma del suo casato, il segno indiscusso della supremazia in questo luogo.

Può osservarsi infatti, al piano terra del Castello, in quella parte esposta ad Est, al di sopra di alcune porte laterali o secondarie, detto stemma a forma di scudo con su scolpite tre linee orizzontali (parte Brettone) nella parte bassa e sulle quali poggia la figura di un gatto.

Al Princivallo segue in Rocca del Vecce, nell’anno 1498, Galeotto Gatti, che era tra i figli bastardi di Giovanni di Silvestruccio Gatti.

Galeotto aveva accompagnato a Roma il fratello Princivallo ed era stato ferito nello scontro che costò a lui la vita.

Tale Galeotto, nel 1490, era stato qualificato come “Miles apostolicus, eques auratus et comes palatinus”.

Nell’anno 1498, prese in consegna il Castello di Rocca del Vecce ed il suo Feudo, per difendere le figlie di Giovanni Gatti che dimoravano in questo luogo.

Morì nell’anno 1505.

A Galeotto prende possedimento di Rocca del Vecce Guglielmo Gatti, figlio di Raniero di Silvestruccio e quindi cugino di Princivallo.

Guglielmo era nato dall’unione di Raniero con Lella di Patrignano da Corneto e aveva un fratello Giacomo e due sorelle, Lella e Simonetta.

Fu ferito anche questo nell’agguato subìto nel 1456 dal cugino Princivallo.

Guglielmo, tra l’altro, aveva chiesto nel 1456 alla Famiglia Gatti la sua parte di Celleno, ma gli fu negata dai suoi parenti.

Allora si unì ai Maganzesi per combattere i Gatteschi e nella lotta ebbe il sopravvento, per cui prese possesso di Celleno anche per il fratello Giacomo.

Il Papa Callisto III lo chiamò a Roma e lo fece Conte Paladino confermandogli Celleno e Rocca del Vecce e donandogli Rispampani, dopo avergli fatto sborsare 1000 ducati per il titolo.

Il Della Tuccia nella sua cronologia così annota: “Anno Domini 1456…all’uscita del mese di maggio il Papa chiamò Guglielmo Gatto, et lui andò ad Roma, lo Papa lo fa Conte Palatino et donolli Rispampani et riconfermolli Celleno, et la Roccha del Veccio et pigliò la possessione di Rispampani…”.

Le Riforme viterbesi tramandano di lui uno sperticato elogio, chiamandolo “Defensor Patriae”.

In effetti però lui era inviso a tutti per la sua alterigia e arroganza.

La famiglia dei Tignosini, suoi parenti, originaria di Magonza e per tale ragione Maganzese, nemici acerrimi della famiglia Gatti, ordirono una congiura e lo fecero uccidere in casa sua la notte del 16 dicembre 1456, lasciando una figlia naturale di nome Antonia.

Tra la fine di Guglielmo e l’ultimo della prosapia Gattesca, Giovanni di Princivallo, appare, per breve tempo, Signore del Castello di Rocca del Vecce tale Benigno di Sandro, il quale cedette tutti i suoi diritti al Capitolo Vaticano, a patto che non fossero rivenduti ai Gatti.

Infatti nel 1459 Rocca del Vecce è posseduta dalla S.Sede ed è tenuta da Pietro di Forteguerra da Pistoia, tesoriere del Patrimonio per parte e concessione del Papa Pio II (Della Tuccia).

Tali patti non furono rispettati ed i Gatteschi reclamarono il loro diritto sul Castello e nel 1494 è in mano nuovamente di Giovanni di Princivallo Gatti, signore di Rocca del Vecce e Podestà di Celleno.

Nel 1495, Giovanni fece fare il cottimo per il restauro di tutto il Castello di Rocca del Vecce, secondo quanto è scritto nel Prot. I di Spinello Altobelli, Podestà di Celleno per i Gatti (1495 – 1496).

Improvvisamente, il Papa Alessandro VI rimproverò l’occupazione di Celleno e gli confiscò i beni.

Infatti, nell’anno 1494, tale Papa, aveva concesso ad Antoniotto Morton, inglese, Cardinale di S.Anastasia, il governo di quel Castello.

Saputo di tale concessione, il Gatti si ribellò al sopruso e vi si chiuse dentro con tutta la sua famiglia, deciso a non cedere ad altri il suo possesso.

Data la pertinace ostinazione dei Gatti, il Papa, con breve del 16 maggio 1495, sotto la minaccia di pene gravissime, ordinò ai Priori di Viterbo di intimare ai Cellenesi di scacciar via immediatamente dal Castello il Gatti e la sua famiglia, e di impedirne che poi vi rientrassero.

Per motivo dei tempi difficili e torbidi che correvano, il severo Breve pontificio rimase per allora senza effetto.

Ma tornata nello stato Pontificio un po’ di quiete, si pensò di infrangere la resistenza e di punire la ribellione del Gatti ed il 27 maggio 1496 l’abate Bernardino d’Alviano, commissario Papale, con genti della Chiesa entrò in Celleno.

Ora, mentre si disponeva a cacciare i recalcitranti dalla rocca, non sappiamo se d’intesa con lui, entrarono alcuni ribaldi, catturarono il Gatti e dopo avergli fatto manifestare con torture e tormenti dove teneva i tesori, l’uccisero la sera sulla piazza del Castello in presenza dello stesso Abate.

I beni del morto furono depredati.

Avuto il Castello, il commissario papale si recò in Rocca del Vecce e prese possesso anche di quel Castello, tenuto dal Gatti stesso.

Papa Alessandro VI, appreso quanto era avvenuto, indignato che “figli d’iniquità, laici, chierici e religiosi di diversi ordini d’ambo i sessi, anche mendicanti, abitanti della diocesi di Viterbo, Bagnorea, Montefiascone, Tuscania e di altri luoghi, si erano impadroniti di documenti, scritture pubbliche e private, di somme di denaro, di cose e beni mobili e immobili appartenenti a Giovanni Gatti, e quindi alla Sede Apostolica, perché appartenenti ad un ribelle…”, con Bolla del 31 maggio 1496, ordinò sotto pena di scomunica e di altre gravi pene, di denunciare e restituire dentro giorni tre, tutte le cose rubate o indebitamente ritenute, al Vescovo di Civita (di Bagnorea), costituito a tale effetto commissario papale.

Con l’assassinio di Giovanni Gatti, si spegneva nel sangue la nobilissima famiglia Gattesca nel diretto ramo discendente.